IL DIRITTO DELLE MINORANZE SECONDO BUCHANAN

La presenza di un particolare status giuridico e politico per le popolazioni minoritarie indigene all’interno dello Stato moderno ci indica l’esistenza di altri possibili tipi di combinazione tra autonomia e subordinazione (differenziando i gradi di indipendenza). Ai membri di una minoranza potrebbe per esempio essere garantito qualcosa di simile allo status del residente straniero, o addirittura una doppia cittadinanza. E per beneficiare di questi diritti non vi è bisogno che essi siano geograficamente concentrati, come nel caso degli indiani che abitano le riserve.

Alcuni assunti fondamentali ma poco chiari del diritto internazionale hanno reso difficile la ricerca di un’alternativa meno drastica della secessione. Paradossalmente, ciò ha portato alla riluttanza a riconoscere il diritto di secessione all’interno del diritto internazionale. Fino ad un periodo relativamente recente, quest’ultimo era definito come il diritto concernente le relazioni tra nazioni, ossia tra gli Stati sovrani. A partire dal 1945 il concetto di diritto internazionale si è allargato: la materia del diritto internazionale ha finito con l’includere non solo gli Stati sovrani, ma anche gli individui.

A partire dal 1945 la poca attenzione dedicata ai diritti delle minoranze – distinti dai diritti umani individuali – è stata caratterizzata da un interesse rivolto alle minoranze intese più come gruppi culturali che come gruppi politici, nel timore che il riconoscimento di un non ben definito diritto di autodeterminazione dei popoli sarebbe equivalso al riconoscimento di un generico diritto di secessione per ogni gruppo etnico. Fino a poco tempo fa è stata trascurata la possibilità di un mutamento di approccio teorico in grado di fornire la soluzione al dilemma per cui o si nega il diritto all’autodeterminazione, oppure lo si riconosce, restringendolo però arbitrariamente alla sola decolonizzazione.

Il primo passo verso questo mutamento – o più propriamente, rivoluzione concettuale – è di esplorare la possibilità che un diritto di secessione possa essere ammorbidito, sviluppando alcune ineccepibili restrizioni alla sua portata che lo rendano di più facile accoglimento. Un diritto di secessione illimitato per ogni gruppo etnico o “popolo” rappresenterebbe indubbiamente un pericolo; ma questa non rappresenta l’unica alternativa. La risposta appropriata consiste nel fornire argomenti essenziali per stabilire quando una secessione risulti giustificata, unitamente a vincoli procedurali ed istituzionali riguardanti l’esercizio del diritto di secessione.

In secondo luogo, il diritto internazionale deve essere trasformato dal riconoscimento del fatto che l’autodeterminazione contempla più gradi, e dunque che essa può assumere svariate forme, la più estrema delle quali è rappresentata dalla secessione, volta a costituire uno Stato del tutto indipendente e sovrano. Nella misura in cui è possibile adattare all’ordine internazionale un ampio spettro di differenti status politici dei gruppi l’impulso alla secessione può di fatto risultare indebolito.

Va pertanto ribadita l’inadeguatezza del consueto schema tradizionale che riconosce esclusivamente Stati dotati di sovranità assoluta ed individui e gruppi di minoranza a cui è riconosciuto uno status culturale più che politico. È necessario sperimentare nuove forme di “semiautonomia” o di “sovranità limitata”.

Allen Buchanan

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